Cuculi, con l’accento sulla seconda “u” e non come quel cùculo con Jack Nicholson, anche se un nido c’è e fa letteralmente impazzire i cosentini. Un nido di pasta morbida e profumata che s’intreccia e abbraccia l’uovo, simbolo di rinascita.
Paese che vai, cuculo che trovi, nel senso che nei vari angoli della Calabria la tradizione ha un nome diverso ma è onorata allo stesso modo, fino all’ultima briciola. Il cuculo sta al cosentino come la pastiera sta al napoletano, per intenderci, ed entrambi prestano il fianco al cioccolato.

Insomma, il pranzo di Pasqua funziona così qua da noi: prima si rompono le righe dell’austerity quaresimale, poi si rompono le uova. Quelle dolci. E la vera sorpresa è fare di cuculo e cioccolato un sol boccone per un’esperienza sensoriale che ti manda dritto nel girone dei golosi.
Il cuculo prevede due versioni: la classica leggermente biscottata e la brioche. Questione di gusti (e di denti). Il profumo, però, è lo stesso: un vago ricordo di scorzetta di limone e un goccino d’anice li rendono inconfondibili. Non cambia nemmeno la forma. Mia nonna quando intrecciava la pasta diceva che forgiava bamboline con l’uovo in testa. Ce n’erano sempre due per me: uno grande e il figlioletto, il “cuculicchio” con gli zuccherini colorati.

Ma non di soli cuculi vive il cosentino: perché dietro un grande dolce c’è sempre una grande regina. È la cuzzupa, parente stretta del cuculo. Ma è donna, è accogliente e invece di chiudersi a treccia si apre a mo’ di ciambella. Il nome deriva dal greco o dall’arabo, in entrambi i casi significa “pane di forma circolare” e si sfornava già in epoca magnogreca per dare il benvenuto alla primavera. Tutte le cuzzupe escono col buco e pure con le uova, anche qui simbolo di rinascita, fertilità e vita eterna.


Al banchetto non mancano nemmeno le Nepitelle, tipiche della cultura Grecanica. Dette anche Jaluni, rispondono all’appello nella zona dell’Aspromonte, infatti siamo sul versante ionico tra Catanzaro e Crotone, tanto per puntare la cartina.
Le nepitelle, simili ad un raviolo, ricordano un po’ le “chinuliddre” natalizie, il che vuol dire: ripieno straripante. La farcia varia in base alle diverse zone della Calabria ma, solitamente, sono protagonisti noci, mandorle, uva passa, cioccolato e fichi secchi.

Le meraviglie della nostra tradizione si sposano con vini dolci, calabresi ça va sans dire. Quindi cuculi e cuzzupe vanno a nozze con Moscato di Saracena, Greco di Bianco e Mantonico passito. Degustare per credere. Degustare per essere felici come una Pasqua.